Oscar Wilde era un grande autore. Quando si accinge a scrivere fiabe mi ricorda molto Andersen, ma senza quel plus di genialità che aveva Andersen.
Per molte cose ha una fantasia vivace come quella di Andersen, una concezione di amore tragico e profondo, un intento moralizzatore forte. Però ho sempre trovato le fiabe di Wilde molto romanzesche, senza quella semplificazione alla base che aveva Andersen.
Se vogliamo, anche quel capolavoro di romanzo “Ritratto di Dorian Gray” ha alla sua base un qualcosa di oscuro e fiabesco. C’è quell’oscurità che c’era in Barbablù, quell’espediente narrativo magico che poi si amplia in romanzo. Del resto chiunque scrive un romanzo secondo me farebbe bene a ispirarsi a una fiaba.
“Il Principe Felice” ad esempio è una bellissima fiaba. Dove l’amore e la compassione fanno da padroni. Però non sono sicura che sia entrata nel cuore dei bambini come una Sirenetta o un Soldatino di Piombo.
La trovo molto estetica e poco metaforica. Non ha un elemento che attrae il bambino, come poteva essere nel Brutto Anatroccolo un riconoscimento finale, o nei Vestiti Nuovi dell’Imperatore la struggente ironia. “Il Principe Felice” è realistica e triste come fiaba. Ai livelli della “Piccola Fiammiferaia” ma senza la parte fantasiosa e salvifica di quella fiaba. La parte attraente.
“Il Pescatore e la sua Anima” per dire è la fiaba di Wilde più simile ad Andersen. Anche qui l’amore omosessuale impossibile viene trasfigurato nella sirena. Ma il paragone è inesorabile. Chi ricorda “Il Pescatore e la sua Anima” e chi invece ricorda “La Sirenetta”? Vince Andersen su tutta la linea, perché narra la vicenda dalla parte dell’esclusa, non dalla parte dell’uomo che si innamora della sirena. Wilde si perde riflettendo su anima e amore, su religione e senso di colpa, dimenticandosi dei bambini. Ecco allora evidente il difetto di Wilde maggiore. Si dimentica che queste storie vanno raccontate ai bambini. Perciò costruisce fiabe meravigliose, troppo lunghe e complesse.
Laddove Andersen era azione e altra azione, semplicità.
Credo che a man basse la sua miglior fiaba sia “Il Gigante Egoista”, perché è quella che sa semplificare meglio il linguaggio, senza andare a cercare e a forzare troppo l’estetica. Anche se verso il finale diventa una fiaba retorica da morire.
Ma la cosa che mi incuriosisce di più è che Wilde è un grandissimo genio, ma non è un genio favolistico. Le sue opere in poesia e teatrali sono capolavori, le sue fiabe no.
E’ curioso. Così come anche Andersen scrisse moltissime opere, che nessuno ricorda. Ma il suo genio favolistico è il più grande di tutti i tempi. Sfido chiunque a non aver mai sentito una fiaba di Andersen.
A mio parere, la fiaba è la cosa più difficile al mondo da scrivere, anche di più dell’endecasillabo legato.
Non era per fare un paragone tra i due, ma pur essendo due autori così simili sotto certi aspetti, hanno raggiunto risultati così diversi.
Credo che piano piano farò l’analisi delle fiabe di Wilde. Che però a mio parere non hanno quell’universalità e profondità delle fiabe di Andersen.
Per ora vi lascio solo questo pensiero. E queste domande.
Che cosa è il genio letterario?
Che cosa è più difficile scrivere?
Che cosa alla fine viene ricordato davvero?
Insomma, che cosa ha più valore, in un autore?
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