Un cantante italiano famoso un giorno ha l’idea di produrre una serie animata. Ma non una serie animata qualsiasi. Una serie animata su sé stesso. Una proiezione di un uomo perfetto, infallibile, che ha ai suoi piedi una donna bellissima, che canta una canzone e risolve i problemi nel mondo. Cioè i palazzi. E la famosa mafia di Napoli.
Adrian è la serie evento. Perché riesce a buttarla di fuori. A proiettarsi nel futuro senza mai tornare. Riesce a distruggere tutto il distruggibile. Attraverso l’ego di un uomo che ci crede, ci crede davvero.
L’ego di un uomo che ha creato dal nulla l’essere perfetto, ossia sé stesso.
La sceneggiatura è curata dai ragazzi della scuola Holden, e si vede.
La trama è qualcosa di mistico. Nemmeno i film surrealisti francesi sono riusciti a trasmettermi tale smarrimento. Per non parlare delle canzoni, di Adriano Celentano stesso utilizzate in maniera per niente casuale.
Ho seguito con passione questa serie televisiva.
Sono saltata dalla poltrona quasi, per ogni alter ego di Adrian che spuntava fuori. Dalla volpe che sorveglia i vicoli e colpevolizzava potenziali vittime di sturpo. Alla befana col nasone. Al cantante che vuole sapere perché viviamo inscatolati come le acciughe.
Per non parlare del finale, che è un climax di rivelazioni, altri tentativi di stupro, lotte di arti marziali e Luciano Pavarotti in sottofondo.
Se non è questo un genio visionario. Io non lo so che cos’è.
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