Hans Christian Andersen era omosessuale. Essendo religioso ed essendo danese viveva molto male la sua condizione. Per tutta la vita opterà per la solitudine, convinto di non meritare amore.
E questo aspetto della sua vita è evidente nella fiaba “La Sirenetta”. Hans Christian Andersen da sempre cantore dei diversi, ci delizia con una fiaba meravigliosa, che al contempo lascia trasparire tutta l’infelicità della sua condizione. Quando la scrisse con ogni probabilità Andersen si era innamorato di un suo amico, che però era etero, e Andersen aveva sofferto molto quando si era sposato con una donna. Così nasce la Sirenetta, storia di una creatura appartenente ad un’altra specie. Una specie priva di anima, che ci dice tutto su quanta colpevolezza Andersen provasse, oltre all’infelicità di un amore non corrisposto. In un’epoca appunto in cui l’omosessualità era aspramente condannata e perseguitata, e che lui stesso viveva come una condizione amorale.
La Sirenetta Astrid salva un mortale dall’affogare. E innamoratasi di lui fa un patto col diavolo, alias la strega del mare, che è di fatto un’estensione del diavolo. La strega le da delle gambe, ma le toglie la voce. E l’amato non ricambierà il suo sentimento, e sposerà un’altra, lei diventerà schiuma di mare. La sirenetta per tanto ama e non può dirlo, esattamente come un omosessuale in quell’epoca. Il principe non è cattivo con lei, anzi, la accoglie e le da affetto. Ma non la ama. Perché non può, non potrebbe mai. Come se la differenza tra specie, umani e sirene, fosse ancora presente nonostante la Sirenetta abbia ora le gambe.
La Sirenetta potrebbe rinnegare quell’amore e salvarsi, alla vigilia del matrimonio del principe con un’altra. Il secondo patto con la strega del mare, che fanno le sue sorelle questa volta, farebbe sì che lei sopravviva, ma per farlo deve uccidere il principe. Patto che la Sirenetta rifiuta, accettando la morte piuttosto. Anche quì emerge l’educazione religiosa di Andersen, che preferisce il martirio piuttosto che l’egoismo.
Tuttavia pur attraverso la metafora Andersen riesce a far valere la propria voce. Voce della quale nella realtà era privato, poiché non poteva pronunciare il suo amore. E poiché comunque il suo amore non poteva essere contraccambiato.
L’ultima parte della fiaba è triste e calante, e non perfettamente calzante. Con la redenzione della Sirenetta che si salva attraverso la sua buona azione. E senza la realizzazione del suo sogno. Perché se Andersen non metteva tre traumi a fiaba, non era contento. Tuttavia fu il primo a dare voce a una categoria di reietti della società, nella quale si identificava. Il tema dell’esiliato, solo e infelice, così come quello dell’amore non corrisposto, lo perseguiterà sempre.
Tra poesia e malinconia. Il suo genio era anche questo.
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