Hans Christian Andersen è stato un grande genio. Ci ha insegnato a disimparare tutto quello che sappiamo delle fiabe. Ossia che sono racconti popolari narrati attorno al fuoco, che solo successivamente sono stati messi per iscritto. Andersen no, Andersen è un autore. Ma le sue fiabe comunque sono diventate universali.
Perché spesso erano le storie della sua vita.
Come il Brutto Anatroccolo. La storia di un esilio fondamentalmente. Perché le fiabe di Andersen non sono profonde e oscure come quelle dei Grimm o peggio ancora di Basile. Le fiabe di Andersen sono malinconiche e solitarie. Sono le storie di qualcuno che non ha trovato posto nella società. Il Brutto Anatroccolo è il suo capolavoro. Appartenente a un’altra specie, scivolato in un nido d’anatra per sbaglio, il Brutto Anatroccolo subisce bullismo e viene deriso. La madre non è abbastanza forte per difenderlo, così lui deve andarsene e viaggiare, finché non compie una rivelazione. Non subisce metamorfosi, semplicemente si riappropria del proprio io.
Gli esiliati perché diversi saranno sempre nel cuore di Andersen. Anche nel Soldatino di Stagno o in Mignolina/Pollicina Andersen seguirà la storia di emarginati perché diversi, costretti a un viaggio loro malgrado. Tra amore infelice e odio da parte di altri.
Il Brutto Anatroccolo non riesce mai a trovare un luogo in cui stare, è sempre inadeguato. Non è anatra tra le anatre. Una donna gli da ospitalità sperando faccia le uova, ma lui è un maschio, nuota in un lago che poi si ghiaccia senza lasciargli più un posto dove stare. Infine quando si specchia e riconosce di essere un cigno, si volta con distacco ripensando alla vita passata. Non sappiamo se ha sviluppato empatia per il trattamento subito, o se cercherà per tutta la vita di soffocare quella parte di se che è stata emarginata, rinnegandola.
Non sappiamo se l’anatroccolo sarà felice. Però almeno ha ritrovato sè stesso, il che non è poco.
Lascia un commento