
Come già specificato nell’articolo della Bilancia, la costellazione dell’Acquario non rappresenta un oggetto, ma una persona legata all’acqua. In alcune interpretazioni questa persona è Deucalione, il Noé della mitologia greca, l’unico che si salva dal diluvio universale. Rappresentato come acquario perché fu lui a domare l’acqua.
La cosa interessante di questo mito è che è comune a molte culture relativamente distanti tra loro. Il diluvio universale è presente nella Bibbia, nel mito greco, nell’epopea sumera di Gilgamesh. E’ uno dei miti primordiali più antichi.
L’altra interpretazione è che l’Acquario, l’uomo che versa l’acqua, sia Ganimede.
Ganimede era il fanciullo più bello mai esistito, tanto che Zeus lo rapì e ne fece il suo amante nell’Olimpo, dandogli immortalità e un ruolo di coppiere degli dei.
L’omosessualità nell’antica Grecia è un aspetto abbastanza distintivo della loro cultura e della loro tradizione.
Alcuni strumentalizzano la cosa dicendo che i greci erano più evoluti di noi, in quanto più tolleranti. Dicendo che non erano una cultura misogina e patriarcale, sebbene siano stati loro i grandi teorici della misoginia e del patriarcato.
Mettiamo subito le cose i chiaro. L’omosessualità non era tollerata nell’antica Grecia, né quella maschile né quella femminile.
Il rapporto di cui parliamo nel caso di Ganimede e non solo, è un rapporto di tipo pederastico. Non era detto che questo rapporto sentimentale fosse anche sul lato fisico, ma sicuramente la cosa capitava.
Un uomo adulto poteva avere una relazione con un ragazzo imberbe, considerato non ancora un uomo, ma comunque più di una donna. Questo rapporto si basava sull’amore e sul fatto che il più anziano fungesse da mentore al più giovane. Diciamo che uno offriva giovinezza, l’altro saggezza.
La donna era l’ultima ruota del carro, era considerata mentalmente inferiore, perciò non all’altezza nemmeno dell’amore. Si trattava del resto di una società incredibilmente maschilista.
I rapporti omoerotici sono di base anche una fase di passaggio della scoperta dell’amore, che però diventa eterosessuale una volta raggiunta l’età adulta. L’amore dell’eterosessualità è quello delle responsabilità, della famiglia.
Tornando a Ganimede, Ganimede è il simbolo del rapporto omoerotico dell’antica Grecia. Della pederastia.
Due uomini adulti che avevano un rapporto amoroso, erano mal visti e considerati poco virili anche nell’antica Grecia, quindi attenzione a idealizzare quel luogo come quello della perfezione.
Ganimede è la bellezza assoluta, perché la bellezza femminile in Grecia inizia a venire celebrata solo in età Ellenistica. Il primo nudo femminile è quello di Prassitele di Samo, che ritrae Afrodite a Cnido. Nudo che gli costò anche un processo, a lui e alla sua modella, l’etera Frine.
Ganimede è quindi la bellezza assoluta che l’umano può raggiungere. La bellezza in Grecia era associata alla bontà, ricordiamolo. La grandezza di Ganimede gli concede come amante proprio Zeus, che è il padre degli dei e che gli da l’immortalità.
Il legame con l’acqua, colui che versa il vino lo ha perché rimarca il suo ruolo di sudditanza, di amato, nei confronti dell’amante.
Il rapporto pederastico era sacro, scandito da regole, e da ovviamente convenzioni sociali. L’amato preparava il cibo, ad esempio.
Oltretutto rappresentava anche un’alleanza. La tirannide di Atene si concluse perché il tiranno Ipparco cercò di sedurre l’amato di un altro uomo. I due alleati uccisero Ipparco, perché aveva fatto qualcosa di gravissimo. In un certo senso il tiranno cerca di rompere un’unione divina, in sfregio alle leggi degli dei. Che hanno ritratto l’essere umano più bello mai esistito come simbolo di quel legame.
Legame che però noi contemporanei non potremmo mai capire, con i nostri occhi è un reato e basta. O addirittura andiamo a vederlo come simbolo di un’emancipazione inesistente.
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