
Per chi ha letto un po’ di tutto come me, è difficile trovare letture soddisfacenti. Letture che siano capace di coinvolgere e di restituire qualcosa di nuovo e ben fatto.
“Lei Che Divenne Il Sole ” è una di queste fortunatamente. L’ho trovata sorprendentemente buona.
La trama inizia con una ragazza povera che subisce il brutale assassinio di suo padre e suo fratello. Per sopravvivere assume l’identità di suo fratello, e entra in un monastero con il nome di Zhu Chongba. Siamo nella Cina del XIV secolo.
Le avventure di Zhu si intrecceranno con quelle di Ma, donna destinata al matrimonio, e con quelle di Ouyung, eunuco generale dell’esercito opposto a quello di Zhu.
Dovrebbe trattarsi di una dilogia, ma il primo libro funziona a mio parere anche a sé stante. La parte che lavora meglio è quella del rapporto tra Zhu e Ouyung, opposti rivali, entrambi in conflitto con il proprio genere.
In un ambiente come la Cina di quel tempo, il genere definiva il tuo ruolo sociale in maniera netta. L’uomo domina. La donna è ancella dell’uomo. La donna ha una serie di mansioni e compiti minori, ma anche pressioni sociali minori rispetto all’uomo.
Zhu sceglie di travestirsi da uomo perché è il ruolo sociale che le garantisce la sopravvivenza.
Ouyung si identifica come uomo ma nessuno lo tratta da tale perché è stato evirato da ragazzino, perdendo quella che è considerata la componente maschile per eccellenza e di conseguenza il rispetto sociale. In tutto questo l’autrice ha saputo intavolare un discorso privo di vuota retorica su ciò che ci rende uomini e donne, o nessuna delle due cose.
Ouyang è la riflessione lampante su come il pene sia un simbolo di virilità, e perderlo ti fa sentire meno uomo sebbene tu sia un uomo.
La riflessione è intelligente anche per quello che riguarda Zhu, che si traveste da uomo per poi rivendicare la sua identità. E’ una sorta di nuova Mulan, ma a differenza del remake disney, la cosa è fatta bene. La storia di Zhu non è niente di nuovo, a differenza di quella di Ouyang, dopotutto la storia del travestitismo è abbastanza comune.
Però mi è piaciuto il modo di affrontarla, e su come Zhu possa perdere sé stessa scegliendo la comoda strada dell’abito maschile.
Le simmetrie sono il centro del libro. La mutilazione di Ouyang si traduce in una mutilazione per Zhu. Le due coppie centrali del libro mi sono piaciute. Da una parte Zhu e Ma, che da rapporto di comodo diventano un rapporto sincero. Dall’altra Esen e Ouyang che forse hanno un affetto profondo, che si infrange nella superficialità di Esen che tratta Ouyang sempre da oggetto e mai da persona .
Mi è piaciuto anche Xu Da, il migliore amico di Zhu, davvero carino come personaggio, spero abbia più spazio nei prossimi libri. Ho amato il discorso fatto sulla morale, su come l’omicidio sia amorale, anche in tempo di guerra.
Difetti a margine ce ne sono parecchi. Dopotutto si tratta di un esordio.
Ad esempio la costruzione della storia tra Zhu e Ma poteva essere fatta meglio. Appare troppo repentina. La sensazione è che queste due passino da sconosciute a innamorate nel giro di tre scene. Si capisce che i due personaggi erano costruiti per stare insieme e funzionano anche bene insieme, ciò che non ha funzionato è il come l’autrice le ha messe insieme.
Altro difetto è il tono. Si passa dal un tono molto epico a un tono molto scanzonato nel giro di poco tempo. Le scene d’azione andrebbero sistemate, non sono molto fluide.
La seconda parte del romanzo dopo un inizio esaltante, cala parecchio, non riuscendo a mantenere lo stesso ritmo. Ecco il problema maggiore è il ritmo del romanzo. Ma ripeto, immagino siano errori più che perdonabili a un’esordiente. Per il resto lo consiglio davvero tanto perché è un libro davvero bello e interessante. Specialmente per gli amanti del genere e dell’Oriente.
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