
Uno dei miei film preferiti è “Il Grande Freddo” di Lawrence Kasdan che tra le altre cose è stato anche sceneggiatore del più bel film di Guerre Stellari mai girato, ossia “L’Impero Colpisce Ancora”. Tuttavia “Il Grande Freddo” non è fantastico, è realistico. Parla di un gruppo di amici che si rivedono in seguito al suicidio di un loro comune amico: Alex.
La scrittura di quel film è una cosa fenomenale perché il personaggio che non appare mai, appunto Alex che è morto prima dell’inizio, è scritto. Ed è scritto bene, molto bene. Viene delineato attraverso le parole degli amici e verso il personale legame che aveva con ognuno di loro.
Ecco.
Questo miracolo di scrittura è la grande capacità di gestire un’assenza.
Un personaggio che è assente.
Tantissimi personaggi vivono la gran parte del romanzo in assenza. E allora quello spazio in cui non compaiono, va compensato dagli altri personaggi. Da quello che dicono e pensano su di loro, anche facendo capire che il pensiero altrui è comunque un filtro. Il rischio è sempre quello dell’idealizzazione che è il veleno per un personaggio.
La più grande assenza che mi viene in mente scritta in un fantasy è quella di James Potter. Il padre di Harry Potter. Che muore prima dell’inizio della storia, e muore da eroe. Viene descritto da tutti i suoi amici come un eroe, fino a quando la Rowling non spariglia le carte e ci mostra un lato di lui davvero problematico.
Entrando in un ricordo altrui, attraverso la magia, Harry stesso vede suo padre in veste di bullo che se la prende con la vittima alla quale appartiene il ricordo. La prospettiva dunque è rovesciata. Uno dei grandi temi stessi di Harry Potter oltre alle scelte e alla deriva autoritaria del governo del resto rimane la conoscenza degli adulti che è fatta a più riprese. La conoscenza dei propri genitori che in realtà erano altre persone prima di averci. I morti idealizzati che si dimostrano qualcuno di diverso.
Tuo padre che si rivela in un età molto specifica come l’adolescenza, come qualcuno che non ti piace.
L’assenza è questo. Gestire ciò che non c’è. Qualcuno che non ha corpo, aspetto o voce. Attraverso le voci di altri personaggi, i filtri con cui lo giudicavano quelle persone. Come nel caso di James che è sempre stato descritto come eroe dai suoi amici che gli volevano bene e che erano anche suoi complici negli atti di bullismo.
Un grande maestro di assenze era George R.R. Martin che ti descriveva personaggi che non c’erano più. Rhaegar Targaryen è stato definito caratterialmente pur non comparendo mai, in maniera che risulti somigliante a suo figlio Jon Snow, davvero bene. Anche se poi andando avanti con la saga Martin ha perso questa sua capacità diventando troppo ridondante e descrittivo. Non sa lavorare più con il detto e il non detto.
Spesso nei fantasy il cliché dei genitori morti provoca tanto potenziale per personaggi scritti in assenza, mal gestiti però in esecuzione. Come se questi personaggi non meritassero una scrittura, nonostante la loro importanza nell’evoluzione del protagonista.
Per esempio in “Nevernight” dove è centrale il rapporto col padre putativo e con quello biologico. In quella saga si scopre che Darius Corvere non era il vero padre della protagonista Mia ma in realtà il padre è il suo più acerrimo nemico Julius Scaeva. La scontatezza della rivelazione viene oscurata dalla superficialità con cui una bomba simile viene sganciata. Cioè Luke Skywalker mette in dubbio tutta la sua esistenza con un urlo in Guerre Stellari quando scopre che Darth Vader è suo padre. L’introspezione dovrebbe essere più facile in un mezzo scritto come un romanzo, perché non mi fa provare un decimo di un’immagine audiovisiva? Già che copi Guerre stellari, almeno impara qualcosa da quella saga che al di là del lato visivo ha una scrittura dietro magistrale.
A parte questa mia divagazione, è l’assenza del padre di Mia, che doveva essere centrale, a essere gestita male. Darius Corvere doveva essere il cuore della storia ma mettendo insieme i pezzo il personaggio non è ben delineato. Se la rivelazione sulla sua vera identità che Mia ha idealizzato non è forte, crolla tutto il castello di carte. Perché ancora una volta la protagonista non viene veramente messa in discussione. La debolezza ideologica di Nevernight sta tutta lì, in un centro che non è motore.
Moltissimi personaggi in letteratura non compaiono mai davvero. Sono presenze che galleggiano imponenti delimitati solo da ciò che non c’è.
C’è un prima o un dopo l’essere visti.
Moby Dick appare solo alla fine del romanzo davvero, eppure la sua assenza è talmente forte da sembrare presenza.
Jay Gatsby del Grande Gatsby è un personaggio delineato meglio in assenza che in presenza.
Tutto il suo mistero, le sue vere azioni, sono descritte prima di vederlo comparire in scena.
Questo succede perché devi essere davvero bravo per gestire un’assenza. L’assenza stabilisce un’abilità invidiabile.
E’ uno dei livelli di difficoltà di scrittura più elevati.
Rispondi