
Gli scrittori sono egocentrici e egomaniaci. Si innamorano di sé stessi, delle proprie storie e dei propri personaggi.
A volte questo può essere controproducente perché impedisce a uno scrittore di vedere i limiti del proprio personaggio. O peggio ancora impedisce loro di dare a quel personaggi dei limiti umani.
L’idealizzazione è un errore grosso perché mette le ali ai piedi di un personaggio e lo fa fluttuare sopra la testa del lettore. Lo rende distante, irraggiungibile, gli toglie l’empatia del lettore.
I difetti al contrario delineano un personaggio, gli danno dei connotati che devono essere cambiati. Questo fa scaturire una storia.
L’idealizzazione è un cancro che colpisce soprattutto i personaggi femminili, non che quelli maschili ne siano immuni. Però l’esempio più lampante che mi viene in mente è Lucia Mondella. A nessuno piace un personaggio come Lucia Mondella perché se ne sta in alto a fluttuare sopra di noi. Nessuno è buono e compassionevole come Lucia. Nessuno potrebbe mai identificarsi in un personaggio simile perché le persone normali hanno difetti. Tutti le preferiscono Renzo che si fa coinvolgere in una battaglia non sua o addirittura l’amorale Monaca di Monza.
Il problema riguarda i personaggi femminili perché solitamente gli scrittori tendono a dare meno difetti alle donne. Tendono a metterle su un piedistallo per metterle da parte.
Una cosa che avviene anche nel “Signore degli Anelli” dove le donne sono tutte altissime e meravigliose. Uno dei grandi difetti dell’opera è proprio quello per quanto mi riguarda, la presenza marginalissima di femminilità che viene messa molto in alto e su un piedistallo. Ma di conseguenza da parte. Non c’è un solo dialogo tra due personaggi femminili. La letteratura italiana in questo non ha dato grandi prove, forse complice anche il fatto che l’occhio di chi guardava era nella maggior parte dei casi maschile.
Devo dire che non è l’autore maschile il solo problema. Alberto Moravia per esempio ha saputo fare grandi ritratti di personaggi femminili in alcuni suoi romanzi come “Il Disprezzo” o “La Romana”. Però lui evitava di idealizzare appunto, cosa che invece fa negli “Indifferenti” dove i personaggi femminili risultano abbastanza scialbi per quanto mi riguarda.
Un grande merito di Elena Ferrante è stato comprendere questo deficit, questa problematica nella letteratura italiana moderna. Lei piace al grande pubblico perché il personaggio ferrantiano per eccellenza fa errori e non è per niente idealizzato. Ha dato uno spazio alle donne in cui le donne potessero identificarsi. E lo ha reso mainstream. Anche se non mi piace personalmente, questo merito è molto significativo.
Le autrici donne sanno spesso costruire ritratti femminili più efficaci, ma poi tendono a essere troppo indulgenti con il loro personaggio. Si sbilanciano troppo per mostrare l’eroe, e così facendo ottengono l’effetto opposto.
Mi riferisco ad Alina Starkov ad esempio, protagonista della Grisha Trilogy che non funziona proprio perché è idealizzata dall’autrice. E’ anche troppo amata dall’autrice, pur non essendo né complessa né sfaccettata.
Il fantasy è un genere che ha permesso anche prima di altri una grande rappresentazione di personaggi femminili. Tuttavia a volte tende a voler proporre icone di forza che idealizzano altri punti problematici. Ad esempio Mia Corvere di Nevernight che è troppo forte e anche ogni suo difetto sembra scritto per renderla più simpatica. E’ troppo sicura di sé in ogni situazione. E’ troppo amata dal suo autore. E a me per questo risulta insopportabile.
Lucy Pevensie delle Cronache di Narnia è l’esempio lampante di un’idealizzazione eccessiva. Lei è una figlia di Lucia Mondella. E’ troppo buona e idealista, e anche quando il personaggio poteva essere un po’ sporcato con la vanità, Lewis si tira indietro. Proponendo un modello femminile che ancora una volta fluttua sopra le nostre teste moralmente superiore a tutti. Anche lei non dubita mai. Non puoi empatizzare con lei, trovi più facile empatizzare con l’Edmund Pevensie traditore dei fratelli.
Ma l’errore di idealizzazione peggiore gli scrittori lo fanno con il proprio alter-ego. Spesso lo inseriscono in maniera manifesta. Spesso non sanno affrontare l’immagine con lo specchio e la distorcono, creando un personaggio che è un sé stesso idealizzato. Avviene soprattutto con gli scrittori non maturi o incapaci.
Con le autrici di quei romanzi tutti uguali romantici, come “After” o “Fabbricante di Lacrime” che si ritraggono nella protagonista rendendola santa e martire.
Ma anche con gli autori maschili che scrivono il proprio alter-ego pur con i suoi difetti, ma sempre fornendogli troppe apologie.
Nella “Coscienza di Zeno” la genialità stava nel restituire un alter-ego rendendo chiaro fin da subito che è un uomo inaffidabile che se la canta e se la suona.
Quando un autore idealizza, sono guai. Perché stacca il personaggio dalla realtà e smette di catturare simpatia. Ma quando riesce a distrugge l’idealizzazione, allora il personaggio è riuscito davvero. Non a caso “La Coscienza di Zeno” è un capolavoro.
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