
Avevo due certezze a dodici anni: Avatar di James Cameron e Moby Dick di Herman Melville.
Perché erano certezze?
Perché tornavo sempre lì.
Al DVD di Avatar messo fino a consumarlo e al libro di Moby Dick con le pagine memorizzate con le mie scene preferite. Perché i libri non si sottolineano. Persino la mia versione orribile di bassa qualità, presa con 3.5 euro insieme a Panorama.
Si ero molto piccola, perché lo leggeva “Matilda 6 Mitica” e io ero ancora nell’età in cui si emula quello che si vede in tv. Avevo come detto il libro in casa. Che afferrai un giorno e che non mollai mai più.
All’inizio mi costrinsi a leggerlo. Perché è un libro molto difficile. Pesante, pieno di quelle che reputo ancora inutili digressioni sulle balene. Serve molta tenacia per leggerlo. Ma alla fine ripaga. Tutta la parte iniziale è una gigantesca costruzione alla meravigliosa parte finale.
La parte iniziale è quella legata alla terra. Quella prima di scegliere una nave su cui partire. Da parte di un ragazzo giovane e innocente come Ismaele.
La terra tanto caotica e difficile, diventa nella seconda parte ciò che manca di più, dopo settimane e settimane sul mare.
Pirrip è uno dei personaggi che rimane per ore solo in mezzo al mare, e impazzisce.
I due personaggi che giganteggiano descritti sotto gli occhi di Ismaele, sono Starbuck e Achab.
Credo che tutti conoscano Achab, è diventato iconico a tal punto che è stato ripreso in mille maniere. Ha perso una gamba a causa di Moby Dick la balena bianca, e cerca vendetta.
E’ folle, ma è lucido nella sua follia. E’ uno di quelli che è stato troppo tempo lontano dalla terra, e a un certo punto ha smesso di tornare.
A differenza di Starbuck che invece è l’umanità speranzosa e prudente. La razionalità e la consapevolezza di Starbuck sono la sua salvezza, così come la sua lealtà è la sua debolezza.
Sa perfettamente che Achab non è mai rinsavito. Non lo comprende, ma lui è il suo capitano. Tra loro si crea un rapporto padre-figlio, ma anche un rapporto di empatia. Sono lo stesso uomo, in momenti diversi della vita. Anche Starbuck perirà se continua su quella via.
La scena madre di Moby Dick è tra loro due. Quando avvistano la bianca dopo una lunga ricerca, e Achab vorrebbe affrontarla.
Ma l’incontro con altre baleniere che l’hanno affrontata, volta dopo volta, provoca in Achab un unico momento di lucidità.
Starbuck lo comprende e lo coglie, cercando di convincerlo a tornare a casa, a Nattucket. La cosa assurda è che ci riesce pure, proprio facendo leva sulla nostalgia di Achab. Sebbene quel momento di redenzione è come il momento di redenzione di Satana in Paradiso Perduto. Una redenzione che si scontra con un sentimento più forte di rancore e rivalsa. E che annulla sia pentimento che ritorno.
Ritorno che solo Starbuck sembra auspicare, perché è l’unico consapevole della posta in gioco.
La traduzione fenomenale di Cesare Pavese, del quale consiglio sempre a chiunque la versione, rende questa scena un capolavoro anche in italiano.
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Mi chiedo come si possa passare anche un solo giorno senza aver letto questo capolavoro.
Capolavoro che mi accompagna da una vita.
Che citavo in ogni tema alle superiori e con cui solo Dostoevskij a mio parere può competere.
Capolavoro non compreso e distrutto dai contemporanei e consegnato alla posterità solo dopo.
In Italia Cesare Pavese dovette fare salti mortali per poterlo tradurre in maniera decente. Gli arrivarono infatti solo stralci del romanzo, in maniera lacunosa.
Molti abbandona prima della scena madre o della caccia finale. Io consiglio di fare uno sforzo perché ne vale la pena. Anche perché Moby Dick nonostante la mole di pagine si regge tutto in questa monumentale grande scena.
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