
La Storia Infinta di Michael Ende è un capolavoro per tanti motivi. Ma per un solo motivo non lo è.
Si tratta della storia di Bastian, bambino bullizzato, grasso e con le gambe storte, orfano di madre e con un padre che non sa affrontare la propria perdita. Un padre che non è capace di guardare oltre il proprio dolore e affrontare quello del figlio. Bastian si rifugia perciò in un mondo di fantasia, fatto di libri e altri libri, trascurando la scuola e la vita sociale.
Attenzione però, perché nella Storia Infinita in Fantasia ci si perde.
Bastian tende all’infinito nel momento in cui ruba il libro “La Storia Infinita” proprio perché desidera non tornare. Catturando l’empatia di noi lettori che spesso abbiamo sognato di rimanere nel mondo immaginario più a lungo possibile.
Bastian prima diventa spettatore delle avventure di Atreiu. Poi entra nel libro, esattamente come Alice attraversa lo specchio, e compie un viaggio che lo porta a salvare Fantasia. Viaggio in cui ogni suo racconto o desiderio diventano realtà. Ma per ogni realtà che ottiene, perde un ricordo. Un pezzo di sé. Perché la Fantasia è bellissima, ma anche pericolosa.
E fin quì il romanzo è stupendo, pieno di eterni ritorni come la donna Aiuola, coronato con ripetizioni e infinito. Raggiungendo vette surreali come la città degli Imperatori, dove altri prima di Bastian si sono persi all’interno di infinite parole.
Bastian capisce che non è sano ciò che sta facendo e che deve tornare indietro. E deve farlo prima di perdere tutti i suoi ricordi della sua vita.
Ora, qui arriva la nota dolente. Bastian deve scegliere tra mille lastre di vetro, quella che gli appartiene. Sono lastre magiche che contengono ricordi, lastre che un misterioso uomo-talpa estrae dal terreno. Una di queste sarà il suo unico legame, una volta perso l’ultimo ricordo, il suo nome, per tornare a casa.
Attenzione. Questa lastra è quindi il cuore pulsante di tutta l’opera. E’ la realtà, il legame umano di Bastian, ciò che lo ancora alla terra. E’ importantissima perchè è il suo motivo per tornare indietro.
E qui Michael Ende fa un casino. Perché nella lastra ci sta suo padre con un calco di gesso in mano bloccato, come se fosse congelato.

Ora.
Bastian capisce che deve tornare per quell’uomo che non ricorda più essere suo padre. Perché suo padre ha bisogno di essere salvato, scongelato dallo stato in cui si trova.
Ende caro.
Luce della mia vita.
Tu così hai distrutto tutto.
Dovevi scegliere un ricordo più allegorico, più onirico, non uno così didascalico come un padre congelato. E’ uno scivolone pazzesco.
Poi. Bastian dovrebbe essere motivato dal bisogno di salvare il padre.
Non va bene.
E’ suo padre che dovrebbe salvarlo. Prendersi cura di lui. Non Bastian. Bastian è un bambino, non è naturale che senta questa responsabilità.
Questa cosa almeno viene parzialmente risolta nel finale, con il ritorno di Bastian che è scomparso da due giorni nel mondo reale, e da suo padre rinsavito dal suo torpore che gli dedica mille attenzioni.
Ma la motivazione di Bastian per tornare al mondo reale era una bomba, e andava gestita meglio.
Ho sempre avuto l’impressione che il romanzo implodesse in quel punto, invece che esplodere. E’ stato come suonare un campanaccio alla fine della settima di Sostakovic (cit Green Book).
E per questo motivo per me “la Storia Infinita” sarà sempre un capolavoro mancato.
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