La letteratura per infanzia è sempre stata costellata di piccoli e grandi capolavori. La nostrana ha come caposaldo “Pinocchio”. Quella più anglofona ha capolavori come “Alice nel Paese delle Meraviglie” e “Peter Pan”. Sono opere apparentemente semplici, che hanno però creato figure che si sono radicate nel nostro immaginario. La lettura superficiale ha creato maschere e archetipi. Ma queste storie possono essere lette anche sotto forma di metafore. Le interpretazioni di “Alice nel Paese delle Meraviglie” sono molteplici e spesso anche in contraddizione tra di loro. “Peter Pan” addirittura è un archetipo per la psicologia, nonché narrativo. Sono storie talmente complesse nella loro semplicità che hanno aperto dibattiti e trattati di filosofia.
E poi c’è “il Mago di Oz”. Opera che ha suo modo ha segnato un’epoca, anche grazie al film con Judy Garland che è entrato di diritto nell’immaginario collettivo. Ci sono figure fumettistiche come lo Spaventapasseri oppure l’Omino di Latta, per non parlare della Perfida strega dell’Ovest, talmente protagonista da essere stata trasformata in protagonista in opere come Wiked oppure anche in C’era una volta.
Dorothy è una novella Alice, che atterra con una casa volante trasportata da un tornado, e ha le scarpe d’argento. Il Mago di Oz promette di esaudire qualsiasi desiderio quando è solo un ciarlatano. Alcuni ci hanno voluto leggere una metafora dell’America di allora, e il Mago di Oz sarebbe il Presidente degli Stati Uniti. Può essere. Di fatto la storia a differenza dei suoi illustri predecessori, rimane troppo in superficie e non riesce a essere incisiva come loro.
Le scelte stilistiche, il design dei personaggi, sono tutte cose interessanti. Ma pecca di profondità. E di complessità nella semplicità. Insomma di tutto ciò che ha fatto prosperare il racconto per bambini.
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