L’Ulisse dell’Iliade è particolarmente odioso. La sua furbizia oggi la chiameremmo bullismo probabilmente, per lo meno ai danni del povero Tersite, che ha picchiato e preso in giro solo perchè giustamente dopo dieci anni di guerra voleva tornare a casa. Del resto c’è un motivo se Dante lo ha messo all’Inferno, ad ardere vivo. Dante non gli riesce proprio a perdonare l’aver usato l’ingegno in maniera tanto distruttiva.
Poi vabbè io personalmente non gli ho mai perdonato la morte di Aiace, ce l’ho un po’ calda con lui. Per chi non lo sapesse, Ulisse e Aiace litigarono per chi dovesse ereditare le armi di Achille dopo la sua morte. Aiace è suo cugino, ha portato in salvo il suo corpo. Che cosa c’entra Ulisse con le armi di Achille che si parlano giusto una volta nell’Iliade non so proprio. Ma con le sue chiacchiere Ulisse l’ha vinta e Aiace si suicida per il disonore.
Era molto dura essere un eroe epico.
Aiace e Achille rappresentano l’eroe antico, quello della società della vergogna, che deve partire e combattere anche se sa che morirà.
Ulisse è il nuovo, è la politica intesa come discussione, le soluzioni che trova Ulisse sono sempre diplomatiche o strategiche. E’ un nuovo tipo d’uomo in cui una nuova società può rispecchiarsi. E io proprio non lo sopporto.
Ulisse rappresenta per me il maschio moderno. Quello che vaga e cerca sè stesso, egocentrico, autocompiaciuto, che guarda il mondo dall’alto e lo sa giudicare e gestire. Quello che ha il mondo a misura sua.
La sua qualità secondo molti è quella dell’uomo che vuole conoscere. Io quando fa così lo prenderei a badilate in faccia. Come alla caverna di Polifemo. Che è curioso, ma che cosa ci sarà mai in questa caverna grossa sei metri co le capre alte sei metri, poffarbacco un gigante. Bravo Ulisse, mentre fai il curiosone intanto i tuoi compagni cannibalizzati.
Lui può permettersi di sollazzarsi con una dea o una semidea mentre Penelope se ne sta lì a pregare gli dei e a cacciare i Proci con ogni mezzo, chiedendosi se mai Ulisse si darà una mossa.
Quindi niente. E’ colpa sua se la maggior parte delle storie raccontate dall’Odissea in poi narrano sempre di un maschio furbo e sagace, delle sue avventure, della sua intelligenza e delle innumerevoli donne che gli orbitano attorno. La moglie c’è sempre. Ma non sarà mai l’unica. Non a caso si parla di Ulisse per tutto il Novecento, e non a caso un egocentrico autocompiaciuto come Foscolo lo definisce “bello di fama e di sventura”.
Tutti ad ammirarlo, tutti a voler essere lui.
Fino a James Joyce perlomeno. Joyce ne comprende perfettamente la debolezza, e ci sguazza, distruggendo la sua icona, facendola letteralmente a pezzi. Il protagonista Leopold è di fatto un Ulisse che vaga un Ulisse senza meta, debole e stanco. Stephen Dedalus è un Telemaco sul suo stesso livello, e non più nettamente inferiore al padre, e soprattutto Molly è una Penelope infedele e stanca di aspettarlo. Quando si dice il genio, niente, possiamo solo toglierci il cappello e fare un inchino.
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